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Comizio alla terra e alle piante: il manifesto della Notte Verde

  • Immagine del redattore: Casa delle Agriculture Tullia e Gino
    Casa delle Agriculture Tullia e Gino
  • 4 set 2023
  • Tempo di lettura: 5 min

Cari carrubi, cari frutti minori, cari asini, cari falchi e care volpi. Buonasera. E buonasera anche a te caro olivo – che sappiamo stai passando un periodo difficile – e a voi, care api, cara acqua, cara luna. C-a-r-a t-e-r-r-a.

Siamo qui, in apertura della dodicesima edizione della Notte Verde, innanzitutto per chiedervi scusa. Scusa per avervi dominato, maltrattato, avvelenato, sfrattato, umiliato. Questo è il primo comizio di Casa delle Agriculture e arriva dopo lunghi anni di impegno sul territorio e dopo due Parlamenti rurali, di quel processo partecipato, cioè, che nelle ultime edizioni della Notte Verde ha coinvolto molte realtà associative locali, contadini, attivisti, tecnici, pensatori, con l’ambizione di costruire un orizzonte comune di azione e una massa critica intorno a proposte concrete per affrontare la difficile crisi in corso, che è, contemporaneamente, ambientale, paesaggistica, economica e culturale.

“Parlamenti” e “comizio” sono parole che appositamente abbiamo attinto dal lessico politico. E lo facciamo per ricordare, in primis a noi stessi, che la politica non è cosa altra da noi. E soprattutto non si può confondere con le tornate elettorali né con la ordinaria attività di gestione amministrativa. La politica è visione da costruire e “i politici, “se vogliono essere onesti col mondo che vogliono servire, devono essere mistici e artisti nello stesso tempo”. Ce lo ricordava don Tonino Bello, parlando della politica come “arte nobile e difficile”. Arte: “il che significa che chi la pratica deve essere un artista. Un uomo di genio. Una persona di fantasia”. Nobile: “perché legata al mistico rigore di alte idealità”. Difficile: “perché le sue regole non sono assolute e imperiture, vanno rimesse continuamente in discussione”.

“L’immaginazione al potere” non è stato solo uno slogan del ’68. Persino un papa, Paolo VI, ci venne a dire che all’immaginazione sociale occorre dedicare “sforzi di inventiva e capitali altrettanto ingenti come quelli impiegati negli armamenti o nelle imprese tecnologiche”.

Ecco perché siamo su questo piccolo palco questa sera, avendo coltivato e nutrito per tanti anni l’immaginazione sociale. E siamo qui perché abbiamo capito che sì, la politica è cura della polis, ma anche che la polis siamo tutti. Sono gli esseri umani – e qui ne vediamo tanti questa sera – ma siete anche voi, sebbene siate meno rumorosi e pretendiate di meno rispetto ai primi. Lo abbiamo capito, finalmente, perché in questi anni ci siamo messi in ascolto. E in ascolto anche di voi, caro paesaggio, cari boschi, caro suolo. Non vi consideriamo più solo oggetto del nostro pensiero, bensì soggetti coabitanti di questo spazio che ci è dato vivere.


“Morti e siccati. Sono tutti secchi. 20 milioni, 30 milioni di olivi morti”. Così ci hanno detto di voi. Ci hanno convinto a bruciarvi, diserbarvi, capitozzarvi, estirparvi. Sapete, in molti di noi umani ci sono cascati: abbiamo perso molto di più di quello che avevamo. Abbiamo perso ossigeno, materia organica nei suoli, vita, bellezza.

Soldi, dovevano arrivare soldi per piantare nuovi ulivi a patto di espiantare quelli “vecchi”. Niente, invece, per sostenere un tentativo di cura. Ai pochi che hanno provato a salvarvi li hanno chiamati santoni, stregoni. Molti hanno mollato. Moltissimi non ci hanno nemmeno provato. Ecco, sì, a voi dovremmo porgere doppie scuse. Ci vergogniamo del vostro giudizio. Se aveste avuto gambe, ci avreste inseguito per darci un calcio e l’avremmo meritato tutto. Ora che vediamo la vostra silenziosa ed eroica resistenza, la vostra capacità di adeguarvi alla malattia e conviverci, ora che anche la cosiddetta “scienza ufficiale” riconosce la vostra resilienza, ora iniziamo a capire che abbiamo vissuto - noi umani - dieci anni folli in una terra che ha continuato “a girare a vuoto, su se stessa”, per citare Carmelo Bene.

Da tempo ci state dicendo che ci dobbiamo svegliare. Che dobbiamo immaginare non il ritorno al passato ma un ritorno al futuro.

E che per le distese monocolturali, per la biodiversità in pericolo, per i boschi scomparsi, per tutti i cartelli ‘zona avvelenata’, per tutti i terreni abbandonati e svenduti e per tutte le forme di gestione chimica dei suoli deve valere la stessa – coraggiosa - presa di posizione: la normalità era il problema, ben prima che la ‘questione Xylella’ squarciasse il velo sulle abitudini sociali e culturali di questa terra.

E allora, noi siamo qui per chiedervi non il voto, ma fiducia, un’altra volta. E vi presentiamo non un programma elettorale ma un manifesto, il manifesto della Notte Verde, con le proposte, tutte praticabili non domani – se mai un giorno dovessimo essere eletti – ma già oggi, prendendoci la responsabilità di essere cittadini e lavorando assieme a molti degli umani qui presenti.


Dunque, le proposte. Partiamo da te, paesaggio.

Dobbiamo ripensare in modo strutturato la rigenerazione del tuo essere agricolo e naturalistico. Non farti piegare ai business del momento, compresa la piantumazione di alberi pagata dalle multinazionali del fossile per darsi una spolverata di verde. Dobbiamo ricostruire ecosistemi complessi e comunità di cura, per te. Non ripiantare solo ulivi, ma avviare filiere agricole diversificate, limitare il consumo di suolo, ridargli fertilità, evitare altri espianti, incalzare le amministrazioni a finanziare la più grande opera pubblica di cui abbiamo bisogno: la riforestazione. Dobbiamo essere coraggiosi nel far capire che non bisogna usare pesticidi e diserbanti, che ci sono metodi di agricoltura naturale efficaci e produttivi, di più e meglio.

Per affrontare una crisi di questa portata, siamo consapevoli del fatto che mancano le figure in grado di gestire, formare e informare rispetto a una tale complessità. La difficoltà cresce perché la crisi territoriale interessa una miriade di piccoli proprietari terrieri, praticamente quasi tutte le famiglie salentine. Dovremo essere bravi a costruire reti di saperi tra accademici, contadini, istituti tecnici, esperti e creativi, a loro volta a confronto e in relazione con il tessuto sociale.


Poi ci sei tu, cara acqua.

T’abbiamo sfruttata tutta, così tanto che il mare si sta prendendo le falde. Sono passati più di dieci anni dalla mobilitazione del referendum su “acqua bene comune”. E non abbiamo fatto niente. Dobbiamo spingere – e ci prendiamo l’impegno – per il riutilizzo delle acque reflue depurate in agricoltura, per il recupero delle acque bianche in ogni comune, per la riduzione dell’uso dei pozzi di profondità e per il recupero strategico delle infrastrutture diffuse di raccolta delle acque piovane, quali piluni, pozze, pozzelle e cisterne.


Ci sei ancora tu, cara terra. Vittima dell’avidità.

O sei latifondo, in mano ancora ai grandi proprietari di una volta, o sei quasi inconsistente, frammentata tra piccoli fazzoletti spesso abbandonati e ingestibili. Dobbiamo rendere più facile l’accesso alla terra soprattutto per i più giovani e immaginare modi diversi di vivere la proprietà privata, anche superandola. Perché il paradosso di questo Salento è che, nonostante l’abbandono quasi totale, la terra non è disponibile. La mancanza di titoli di proprietà, però, non può essere un limite! Dobbiamo lavorare sodo per favorire la ricomposizione fondiaria, premiando l’aggregazione virtuosa per progetti di agroforestazione sostenibile anche abbattendo i costi fissi (rogito notarile, ad esempio) per l'acquisto dei terreni, specie quelli limitrofi tra loro, agevolazione da sottrarre, però, dalle mani di chi già possiede grandi estensioni fondiarie e/o grandi capitali.

Dobbiamo poi stimolare la nascita di una normativa regionale che favorisca e finanzi le Associazioni Fondiarie al pari delle cooperative di comunità; insistere per l’acquisizione pubblica di terreni che ricadono in aree protette e parchi costieri; e valorizzare i piccoli proprietari terrieri in quanto “custodi del paesaggio”.


Scusate ancora per avervi considerato per tanto tempo una cosa da niente. Un vuoto a perdere, a nostro uso e consumo. Abbiamo usato contro di voi le armi più dure: incuria, negligenza, noncuranza, trascuratezza e poi saccheggio, fuoco e continue e spensierate eradicazioni. Abbiamo preferito il cemento e l’asfalto a voi. Il progresso, l’utilità, il profitto, la velocità hanno rappresentato il vessillo della priorità.

Noi ce la metteremo tutta. Rimarremo “fedeli alla linea”, a quella esposta in questo manifesto. Perché tu, natura, ce lo hai detto chiaramente: “Verranno al contrattacco | con elmi ed armi nuove | verranno al contrattacco | ma intanto adesso... curami!”.

 
 
 

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