top of page
  • Immagine del redattoreCasa delle Agriculture Tullia e Gino

Buon terzo compleanno, Mulino di Comunità

31/03/2019 - 31/03/2022


Oggi il Mulino di Comunità compie tre anni. Dovremmo festeggiare?

Questa nostra esistenza sembra essere una palude secca, un salto nel vuoto, una memoria sbiadita, una gratitudine mancata, un abbraccio ipocrita.

Questa ennesima guerra ha calato sul nostro palcoscenico un enorme specchio e improvvisamente siamo costretti ad osservarci. Siamo passati dal selfare i nostri giorni ad osservare le nostre ore e a scandirle nell’attesa di un’informazione dal fronte o un resoconto giornaliero delle dichiarazioni dei vari talk.

Tra le informazioni a piè di pagina si sente, però, il rumore di qualcosa che sta tuonando da Nord, ma che riguarda TUTTI e anche troppo da vicino. Ieri sulla cassa di un supermercato un cartello indicava e richiamava alla consapevolezza dei consumi di olio di semi. Pensavo a mio nonno, a quando per oleare la catena della sua bicicletta usava l’olio di ulivo di tre anni prima, conservato in un barattolo di latta, e pensavo a come il tempo della contemporaneità vuole cancellare le nostre più care fotografie.

E allora non per nostalgia né per passatismo, ma abbiamo deciso che ogni compleanno del luogo che contiene i nostri desideri sarà il giorno della gratitudine e del ricordo. Sarà il momento in cui penseremo a quando i migliori sogni sapevano entrare dentro di noi sino a sentirli nel midollo spinale, a quando tutto era confronto e ascolto.

Il pensiero va inevitabilmente al momento in cui l’albero di ulivo era una cartolina, un bisogno antropologico e la terra era il cielo su cui poggiare la schiena stanca – ma sempre dritta.

Oggi ci scopriamo nudi, in un modo che richiede quasi un’armatura. Ci scopriamo senza grano da macinare, senza farina per il pane e ci scopriamo improvvisamente SOLI in un racconto dal titolo: “GLOBALIZZAZIONE”. Ci scopriamo parte di un territorio a cui è stato imposto di non seminare e coltivare frumento e mais tanto da generare una crisi agricola/economica che ha determinato lo spopolamento di intere aree, definite fragili o marginali. Tutto risale all’epoca Pasoliniana quando si definiva il disegno produttivo dell’intera Italia e si dava nuova collocazione alle nostre mani e ai nostri occhi. Non più grani tradizionali, ma grani standardizzati per pasta veloce e piena di glutine. Non più il paese della biodiversità agricola da salvaguardare, ma città da rimpolpare e periferie da far rinascere, su una contrapposizione creata ad arte tra sviluppo e medioevo. Uscire di fretta dalle montagne dell’appennino e dall’entroterra di Stendalì e liberarsi dalla schiavitù, scrollarsi da dosso la polvere contadina, indossare “la camicia bianca” e catapultarsi, senza manuale d’istruzioni, in quel vicolo cieco che si chiama SVILUPPO.

Oggi, questa urgente carestia di frumento di mais, di olio di semi etc. etc. dovrebbe e potrebbe determinare una seria, profonda e puntuale discussione sul ripopolamento delle aree interne, da sud a nord della penisola. È necessario puntare sulla qualità, e non sul continuo depauperamento del suolo, chiedendo di abbandonare le rotazioni dei terreni in aree del nostro paese dove l’agricoltura intensiva ha già abbondantemente creato notevoli danni.

Non possiamo però sentirci chiamati alla responsabilità del nutrire e poi deresponsabilizzati circa le decisioni sul futuro del nostro territorio. Un futuro che alcuni, per esempio, vorrebbero passasse attraverso la creazione di una arteria stradale – come la 275 – e che segnerà inevitabilmente un disegno identitario chiaro e lontano dai valori dalla tutela della biodiversità locale, del paesaggio e della voglia di tenere insieme terra e turismo di responsabilità.

Siamo stati presi in giro, e questa guerra ci sta svelando tutti i retroscena di un liberismo fuori controllo. Questa guerra lo sta gridando a tutti, sta bussando ad ogni casa. Sta a noi, però, rispondere. Sta a noi ritornare a coltivare la terra – e non perché qualcuno ci impone di farlo – ma perché ritornare a occuparCI di questa “faccenda” significherebbe resistere agli attacchi speculativi e avvelenati che non tarderanno ad arrivare sulle nostre culture e sulle nostre colture.

Non ci resta che augurare a tutti noi una grande fase di accestimento e resistenza!










145 visualizzazioni0 commenti
bottom of page